E’ proprio vero che le nostre esperienze definiscono chi
siamo, ma non solo da un punto di vista psicologico o identitario. Diversi
studi hanno dimostrato che le diverse esperienze di vita modificano anche la
nostra biologia, a partire dal cervello fino all’espressione dei geni.
Un esempio di come l’ambiente influisca sul nostro corpo è quello dei gemelli
omozigoti: condividono lo stesso identico patrimonio genetico, da piccoli sono
praticamente indistinguibili; eppure con l’avanzare dell’età, cominciano ad
apparire e comportarsi diversamente. Questo perché nella loro vita hanno
vissuto momenti ed esperienze uniche che hanno lasciato un “segno”, in
particolare nell’espressione o meno di determinati geni.
Dunque non è da sottovalutare il ruolo che i fattori
ambientali giocano, soprattutto in fasi molto sensibili dello sviluppo, in
particolare la prima infanzia, quando il cervello “assorbe come una spugna”
tutto ciò che il bambino esperisce. Alcuni casi di cronaca lo confermano: il
più conosciuto è sicuramente quello di Genie Wiley, esempio di come una
completa deprivazione sensoriale e isolamento sociale abbiano delle conseguenze
negative sullo sviluppo di un bambino.
Le tragiche condizioni in cui Genie aveva vissuto per ben 13 anni furono
scoperte nel novembre del 1970: sin dalla tenera età era stata chiusa in una
stanza completamente al buio, e le interazioni con gli altri membri della
famiglia erano ridotte al minimo (il padre aveva persino vietato di rivolgerle
la parola). Naturalmente, tutto ciò influì negativamente sul suo sviluppo: già
a prima vista, sembrava molto più piccola della sua età (inizialmente gli
assistenti sociali pensarono avesse circa 6 anni), non era in grado di
esprimersi a parole, si muoveva in maniera scoordinata, pesava solamente 27 kg.
I migliori medici, interessati alla sua storia, cercarono di aiutarla per
permetterle di vivere una vita normale: Genie, effettivamente, imparò a
pronunciare qualche parola, ad interagire con altri individui; tuttavia, non fu
mai in grado di acquisire le normali competenze linguistiche e sociali. Questo
perché una parte molto importante del suo sviluppo ormai si era chiusa e in
quel momento, per lei, non era più possibile riacquistare determinate capacità.
In psicologia, si parla di “periodi sensibili”, ovvero uno specifico periodo di tempo caratterizzato dalla massima sensibilità e condizioni favorevoli per la formazione di una determinata capacità.
Può capitare anche, invece, che il cervello, se
adeguatamente stimolato, anche in periodi successivi al trauma, sia in grado di
creare nuove connessioni: la plasticità cerebrale permette così di riacquistare,
in parte o completamente, capacità precedentemente perse o danneggiate,
sottolineando la fondamentale capacità di adattamento che il nostro cervello
possiede.