Si può dire che la memoria è uno dei processi cognitivi più studiati nel corso dei secoli, ed è anche uno dei più misteriosi e talvolta sfuggenti. Dai tempi del filosofo greco Aristotele, nel “De Anima”, egli già parlava di memoria e di leggi che ne regolano il funzionamento, indicando nelle associazioni di idee il meccanismo chiave della memoria umana che risultava essere selettiva e semantica.
Nel corso dei secoli, la memoria ha esercitato il suo fascino in modo quasi trasversale, ha catturato l’interesse di filosofi e di scienziati, ma anche di scrittori, poeti e musicisti. Tutti abbiamo vissuto in un’esperienza, la rievocazione di un ricordo, come racconta Proust che inzuppando una madeleine nel tè, si è sentito travolto da un fiume di ricordi che provenivano dalla sua infanzia.
O come la scrittrice Allende, che in alcune sue pagine forse meno note, ha parlato della memoria e di ciò che i ricordi riescono a fare; hanno il potere di “tenere in vita” le persone e gli affetti, e come lei afferma “non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo”.
Possiamo anche noi dire che basta a volte un’immagine, un profumo, un suono per riportarci alla memoria momenti significativi vissuti nel tempo, vicini e lontani.
Nelle memorie autobiografiche di ciascuno di noi, sono spesso i ricordi – come quelli ai quali siamo più affezionati – che sono “al servizio del Sé” (la nostra essenza profonda che ci distingue come personalità). Spesso, informazioni legate ai nostri ricordi e che consideriamo importanti, ci riconducono all’influenza esercitata dalle false memorie sui nostri ricordi.
La nostra memoria a volte, quando riguarda il passato, non ci permette di ricordare sempre con esattezza e perciò la rievocazione di un ricordo può risultare in parte fallace e inesatta. Oppure la nostra memoria può produrre completamente dei falsi ricordi.
Ma tutti i nostri ricordi sono l’effettiva ricostruzione di un accadimento?
A chi non è capitato di ricordare, con sicurezza, eventi di vacanze trascorse con le persone amate (familiari, partner e amici) e ci si ritrova a confrontarsi sui ricordi, entrando in contrasto con coloro che hanno partecipato al ricordo rievocando evidenze diverse? Ricordi che possono generare equivoci e fraintendimenti. Ricordi non uguali per tutti coloro che li hanno vissuti nel medesimo momento e creando per ciascuno una serie di informazioni diverse. Falsi ricordi per tutti o una diversa memoria per ciascuno?
I falsi ricordi in altri contesti possono avere conseguenze anche ben più gravi. Pensiamo ad esempio alle false memorie testimoniali; cosa potrebbe accadere se il testimone di un evento delittuoso scambiasse, nel proprio ricordo, una persona per un’altra, oppure ricordasse di aver visto un oggetto sulla scena del crimine quando in realtà l’ha visto da un’altra parte, o non è mai esistito? O altre situazioni del genere, in tutti questi casi siamo di fronte a una memoria che produce delle distorsioni di un qualcosa che è realmente accaduto.
A cosa pensiamo dunque quando parliamo di “falsi ricordi”? Come nascono nella nostra mente?
È naturale che le false memorie comprendano ricordi completamente falsi, poiché il cervello ha una capacità di ricostruire immagini e situazioni autonomamente.
Ciò che accade è che arriviamo a rievocare episodi o eventi che in realtà non sono mai accaduti, o distorti e inesatti. Questa distorsione è quasi immediata o progressiva nel tempo.
C’è un motivo particolare per cui si attua la distorsione?
Le false memorie sono poste in uno spazio tra la realtà fisica e quella psichica-percepita. Il nostro “rendimento percettivo” a volte può essere discrepante rispetto a ciò che realmente è il risultato effettivo del mondo fisico. Si potrebbe dire che la nostra memoria, al pari della percezione, ci espone in alcuni momenti a delle vere e proprie “illusioni”, dovute anche alla limitatezza delle nostre percezioni sensoriali. Un esempio: restando fermi e guardando dalla finestra si ha un’immagine circoscritta con i suoi rumori (anche quelli non legati alla totalità del campo visivo); il nostro cervello cercherà di costruire un’immagine “logica” legando tutti i rumori a quanto visivamente percepito; costruendo un ricordo attraverso un “completamento amodale” apparentemente realistico ma che può non essere veritiero, se i rumori – distrattori – non sono pertinenti.
Come lavora il nostro cervello per creare la memoria?
Dagli studi neurocognitivi il ricordo non viene custodito in una sola e determinata zona del cervello, unica custode della memoria; ma vari studi hanno dimostrato che sebbene l’ipotalamo sia un importante centro di memoria, il ricordo scatena un’attivazione sinaptica anche in altre aree estese o più puntuali del cervello, creando un potenziamento sinaptico profuso e cooperante.
Queste ultime conoscenze sono state rilevate grazie ad esperimenti verificati attraverso elettrodi applicati e collegati a strumentazioni particolari, che evidenziano l’intensità di segnale nelle diverse aree del cervello sottoposto a determinate stimolazioni e che vengono coinvolte dal processo di memorizzazione.
Tant’è vero che dove il cervello subisce una grave compromissione, resta comunque in grado di ricostruire la memoria e recuperare o riabilitare capacità perse grazie alla plasticità sinaptica e neurocognitiva propria del cervello.
Sempre che la compromissione non sia troppo invalidante.
Ma perché nasce allora la necessità di costruire un ricordo fallace?
Nella paradigmaticità del fenomeno delle false memorie, la costruzione di un ricordo fallace avviene e si contraddistingue dall’unione di due processi cognitivi che sono la reminescenza e la familiarità.
Il processo della reminescenza è un processo volontario e consapevole, e consiste nel richiamare alla memoria aspetti di una data situazione iniziale. Col tempo, la memoria agisce aggiungendo, logorando, trasformando o perdendo qualcosa. Quindi la reminescenza è un processo intenzionale di ricerca dell’informazione episodica in memoria che richiama a situazioni e “oggetti” tra loro connessi.
Invece il processo della familiarità si riferisce alla sensazione di aver già associato e incontrato in memoria un certo evento o “oggetto”, senza però essere in grado di ricordare nulla della situazione in cui è avvenuta tale esperienza.
I due processi si attivano per soddisfare il bisogno di richiamare un ricordo nella sua interezza; che porta alla necessità di un “completamento amodale” di un vecchio ricordo (… o più semplicemente significa ricostruire un puzzle di informazioni, e dove mancano i pezzi, portare ricordi “familiari” per avere infine il quadro completo). Accade che la ricostruzione completata per “familiarità” può non essere completamente vera e quindi risulta fallace.
Si rende evidente che la memoria umana, come il cervello nella sua complessità, opera in maniera del tutto autonoma e per sua natura comprende anche una certa molteplicità di processi mentali. Processi e anche sistemi diversi per organizzare una propria gestione personale, anche mediante “magazzini di memoria” dove le informazioni vengono mantenute, codificate e recuperate per le loro diverse proprietà.
Sembrerebbe che l’unico obiettivo della memoria umana sia quello di permettere lo sviluppo e la creazione di ricordi nella loro integrità, ma questo, purtroppo o per fortuna, non si verifica.
Infatti, immaginiamo quanto può essere pesante e disabilitante una memoria che non è “capace” di disperdere le informazioni non necessarie, chiamate “scorie cognitive” da chi studia il funzionamento intellettivo della memoria (richiamando ad esempio la Sindrome di Asperger). Se dovessimo ricordare tutto quello che accade ogni giorno ed ogni momento della nostra vita con sovrabbondanza di particolari, ne saremo sopraffatti.
Nella normalità dei casi i nostri ricordi, che riteniamo e manteniamo come un insieme di informazioni utili, vengono categorizzati e tracciati. Alcuni ricordi, nella nostra memoria, diventano degli “Immaginari” da poter essere ammantati di illusioni, sensazioni che non si sono mai verificate in realtà e in alcuni casi di speranze e sogni che col tempo crediamo veri (come il pescatore che ha preso un piccolo pesce e col tempo, nel ricordo, il pesce diventa sempre più grande).
Cambiamo i ricordi per realizzare le nostre aspettative?
Sono anche le nostre aspettative/desiderata ad essere la causa che scatena la nascita delle false memorie autobiografiche. La falsa interpretazione di un ricordo può addirittura portare a rimembrare episodi che potrebbero risalire all’infanzia ma che non sono mai accaduti.
Il processo di memorizzazione diventa un insieme di abilità che vengono sviluppate nel crescere e nella vita, diventando una deformazione “professionale” che l’individuo applica indistintamente. Il processo di memorizzazione ci differenzia come persone ed anche per questo ognuno vive le esperienze in modo unico e speciale.
Queste osservazioni sono state oggetto di valutazioni basate sulla normalità dei casi, senza voler approfondire volutamente dei temi legati a situazioni di traumi, disturbi cognitivi, sindromi, deficit, etc…
Per quanto detto si può capire quanto sia importante la capacità di memorizzare e costruire l’insieme dei ricordi, quanto può sconvolgere rendersi conto di aver distorto (o cancellato o perso completamente) un ricordo: fino a quanto possa spaventarci il perdere questo “talento” perché ricordare gli episodi della vita ci tiene legati ad essa. Pensiamo anche a quanto spaventano quelle malattie in cui la perdita della memoria e dei ricordi diventano l’annullamento della propria identità.
Siamo consapevoli quanto è importante esercitare la nostra memoria e sviluppare quel talento che ci permette di ricordare e richiamare informazioni con facilità, puntualità e correttezza, senza incorrere in falsi ricordi. La creatività, la capacità di innovarsi, di reinventarsi che nel nostro cervello significa costruire nuovi percorsi sinaptici, ci permette di costruire processi di memoria nuovi, continui, mantenendoci giovani anche nel cervello. Non è sufficiente un allenamento cognitivo che risulta essere ripetitivo (parole crociate o sudoku può essere utile ma solo fino ad un certo punto). La creatività significa intraprendere qualcosa di “mai esercitato” prima, cosicché il cervello sia costretto a crearsi nuovi percorsi sinaptici mai intrapresi prima. Dobbiamo però farlo senza andare troppo contro le nostre naturali predisposizioni. Infatti uno dei modi più importanti, quasi fondamentali, per essere creativi negli anni è unire novità a piacere personale.
Il piacere è la benzina che ci permette di intraprendere e percorrere con gratificazione ogni nuovo inizio della nostra vita.
Bibliografia di riferimento
- Libro di testo “Quando la memoria ci inganna, la psicologia delle false memorie” di Manila Vannucci, editore Carocci (2012).
- Libro di testo “La memoria” di A Baddeley, M. W. Eysenck e M. C. Anderson. Editore Il Mulino, Bologna (2011).
Testo elaborato da Lara Zanetti